Alla testa di una delegazione facente capo a una ventina di ministeri, l’ambasciatore al Palazzo delle Nazioni di Ginevra, Chen Xu, magnifica la sua Cina comunista per avere «sradicato la povertà assoluta» ben «10 anni prima di quanto programmato», per il rispetto del diritto, per le «elezioni democratiche» e per la libertà religiosa garantita a tutti. Davanti a lui sono iscritti a parlare 160 Paesi e ognuno ha solo 45 secondi.
La stragrande maggioranza dei 160 digerisce con comodo la minestra riscaldata dell’ambasciatore, ridestandosi dal chimo e dal chilo per congratularsi dei traguardi raggiunti e dei finanziamenti ricevuti. A quella mensa gremita l’unico ordine del giorno sarebbero i diritti umani, ma si parla invece molto, moltissimo di economia e solo ogni tanto si cita l’argomento statutario.
La Upr è uno dei principali strumenti su cui conta il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. L’ha istituita l’Assemblea generale dell’Onu assieme al Consiglio stesso il 15 marzo 2006. Ogni quattro anni e mezzo passa in rassegna a turno gli Stati membri per valutare se, come e quanto i diritti umani vengano rispettati. Il Paese esaminato si racconta, i Paesi prenotatisi intervengono. Non si capisce però cosa succeda dopo. Alla fine di questa settimana dovrebbe arrivare un documento finale sulla Cina. Il Consiglio dei diritti umani lo voterà in settembre.
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