Da undici giorni sono bloccati al confine con la Libia senza né acqua, né cibo. “Quando tentiamo di attraversare o tornare indietro sparano”. Domenica Saied a Roma per la Conferenza sull’immigrazione. Nella capitale anche il controvertice della società civile“Sono Joy, sono una delle migranti intrappolate alla frontiera fra Tunisia e Libia. Siamo qui da undici giorni, vi prego aiutateci”. Parla piano, in un inglese elementare.
Sono centosessanta o più, sono originari di Sudan, Nigeria, Sierra Leone, Mali, Gambia, ma “noi vivevamo in Tunisia da un sacco di tempo”, dicono due ragazzi arrestati per strada e deportati. E sono esausti. Almeno in due del loro gruppo, racconta un uomo, hanno già perso la vita. “Ogni volta che tentiamo di rientrare in Tunisia, loro ci bloccano. Ci dicono che fin quando dal governo non arrivano indicazioni, non sono autorizzati a farci passare”, spiega Joy. Qualcuno ci ha provato. Ci sono stati spintoni, cariche, spari in aria. Dal confine, di quelle violenze arrivano filmati che Repubblica ha visionato, verificato ed è in grado di mostrare.
Parenti e amici che sono riusciti a sottrarsi alle deportazioni e si nascondono a Sfax o in altre città non possono né soccorrerli, né raggiungerli, perché rischierebbero di rimanere bloccati lì anche loro. Anche le organizzazioni della società civile hanno difficoltà a raggiungere quelle zone.
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