, un batterio per cui l’unica cura disponibile è endovenosa e della durata di due anni. Fortunatamente fino ad ora non ho la necessità di iniziare la terapia. Voglio sperare che questo batterio ne vada anche grazie a quello che faccio! Dico spesso chela ricerca è invece fondamentale.
«Ai miei genitori era stato detto che non sarei arrivata all’età adulta, ma grazie alla ricerca le cose sono cambiate un bel po’.«Mio padre correva in pista, ma a un certo punto della sua vita ha dovuto decidere se proseguire con lo sport o con sua attività commerciale. Ha scelto la seconda. Adesso segue me, mi fa da manager, da direttore sportivo. All’inizio anche da sponsor perché in questo ambiente, se non hai conoscenze, è tutto più difficile.
Quali possono essere gli “incidenti di percorso”, quelle situazioni che possono compromettere la terapia o fare degenerare la malattia? «I batteri. Sempre e solo i batteri, che ti annientano. A me è successo l’anno scorso, quando a causa di un’infezione ho rischiato di dover interrompere prima del termine il campionato italiano di rally, a cui sognavo di partecipare da una vita».
Della fibrosi cistica si parla ancora poco e non abbastanza. Lei hai deciso di entrare a gamba tesa con il suo progetto«È vero. Quando ho iniziato a correre e a prendere le misure con questo sport ho capito di avere un’esposizione mediatica molto forte, indipendentemente dai risultati. Attorno a me c’era molta curiosità, sia per il mio essere donna in un ambiente prevalentemente maschile, sia per la malattia.
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