Il campione: «Ho il gusto della sfida, so come fare quello che per gli altri è impossibile. A Londra 2012 non ero io, sono rientrato fisicamente preparato e mentalmente distrutto»INVIATA A FUKUOKA. Ci ha messo degli anni, ma Michael Phelps, oggi sa mostrarsi campione anche fuori dall’acqua. A lungo lo abbiamo visto trasformarsi, diventare supersonico al momento di ogni tuffo, poi riemergere disorientato.
«No. Ho sempre avuto grandi ambizioni, la voglia di raggiungerle mi ha portato a lavorare ogni giorno per obiettivi che dichiaravo per renderli ancora più veri. Ma non era scienza missilistica, era allenamento: quando ero preparato succedeva tutto di conseguenza. Nell’unica occasione in cui sono arrivato senza aver lavorato come dovevo, ai Giochi di Londra 2012, è andata male».«Male perché non ero io e non mi sono divertito.
«Si metta comoda, io mi ci sono abituato, ne ho visti parecchi sparire. Me lo ricordo quel 200 stile di Federica a Roma, l’ho visto dal vivo, è stato incredibile. Ormai lo avrete capito, sono un fissato, mi piace vedere la tecnica di ognuno, i dettagli che definiscono, i tratti distintivi».«Non moriva mai. Ma proprio mai: nella sua gara, i 200, c’è un momento in cui chiunque si stanca, poi resiste, lotta, recupera, ma il cedimento c’è, si vede.
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