). Un’iniziativa che permette di far entrare l’arte anche nelle periferie, là dove riesce ad arrivare più difficilmente In nome della musica e dell’integrazione.“Cantavo a casa le canzoni che conoscevo, non mi ricordo i titoli” confessa tutta emozionata Maimona. Grandi occhi neri e lunghe trecce, i suoi genitori arrivano dal Bangladesh. “Mio papà sa dov’è la Scala ma non c’è mai stato”.
Nella loro scuola, l’Istituto Comprensivo Sorelle Agazzi, sono stati selezionati in trenta. Hanno tutti tra i 7 e i 10 anni. Ai provini si erano presentati in ottanta. “Quando sono entrata ero super nervosa. Poi ho visto che era bello cantare. Non sapevo se mi sceglievano. Non me l’aspettavo” ricorda Giulia, pelle olivastra. “Qual è la parte della lezione che mi piace di più? I vocalizzi”.A prepararli per il grande giorno un direttore di coro. Uno dei dieci appositamente selezionati e preparati dall’Accademia del Teatro alla Scala per questo progetto.
“Con loro ho scelto di iniziare dai canti popolari di diverse nazionalità. Questo perché il coro che mi trovo a gestire è multietnico. E così siamo partiti con lo studio di un canto cinese, uno marocchino e uno ebraico”. E con Fra' Martino Campanaro. “Volevamo usarlo per le audizioni ma molti di loro non lo conoscevano. Le loro famiglie provengono da culture diverse. Ho così pensato di insegnarglielo”. Canti popolari, vocalizzi e anche giochi.
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