Nella foresta pluviale sta facendo buio quando i camerunesi e i pachistani arrivano al campo. Hanno tutti tra i 20 e i 40 anni e sono carichi di zaini, tende e borse. Hanno le calosce sporche di fango e sembrano storditi. Stanno cercando di capire chi occupa la piccola radura che gli è appena apparsa davanti. È una spianata di terra punteggiata di tronchi e brandelli di tende. Alcuni uomini riposano su amache appese agli alberi.
“Quando potremo riposare davvero?”, vuole sapere Sandra. Nessuno ha una risposta. Chiede una pillola, una qualsiasi, perché le fa male dappertutto. Benita, seduta accanto a lei, sente che la gamba le si sta irrigidendo. Uno dei pachistani le offre dell’olio canforato e un camerunese comincia a spalmarglielo sulla gamba. Quando arriva al ginocchio, Benita urla e scivola giù dal tronco. I suoi compagni la tengono ferma mentre si contorce per il dolore.
Quasi tutti i camerunesi arrivati all’accampamento dei trafficanti di esseri umani hanno subìto violenze terribili. Sandra stava cenando a casa con la sua famiglia quando i militari hanno sfondato la porta, hanno trascinato fuori il fratello e gli hanno sparato. Dopo che hanno incendiato la casa, lei è scappata nella foresta, dove le forze di sicurezza del governo l’hanno violentata. Da allora non ha più visto la sua famiglia.
Waseem è il collegamento tra i quattro; gli altri lo hanno contattato attraverso un giro di amici e parenti. Ha la pelle chiara, la barba ben curata e gli occhi verdi, e sa di essere attraente. All’inizio il Sudamerica e il Darién erano l’ultimo dei suoi pensieri. Quando è partito dal Pakistan ha preso un volo per Dubai sperando di ottenere un visto per l’Europa.
Molti migranti non parlano spagnolo e sono alla mercé dei trafficanti di persone. I camerunesi avevano i riferimenti e la foto di un certo Junior, con cui si erano messi in contatto subito dopo l’atterraggio. Per 50 dollari a testa gli avrebbe procurato delle guide – come preferiscono farsi chiamare qui i trafficanti di esseri umani – che li avrebbero accompagnati nella giungla e poi oltre il confine in un posto noto semplicemente come, il fiume.
Raggiunto il fiume ai piedi della montagna, i pachistani riempiono le bottiglie e bevono avidamente. Il posto è bellissimo. Il fiume è molto stretto e il sole del tardo pomeriggio filtra da una fessura in mezzo alle chiome degli alberi e ai rami ricurvi, screziando la superficie. L’acqua scorre dolcemente ed è poco profonda. I pachistani si tolgono i calzini e si sciacquano i piedi.
Perché una volta non cercano alleanze, armi e fanno quella che una volta si chiamava 'rivoluzione'! Gandhi non mi risulta volesse queste migrazioni, Mandela Idem!🤔
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