«Covid come la Spagnola. Riprese ferocemente a settembre». L’affermazione ha la forza di un ipse dixit, dato il ruolo di chi l’ha pronunciata, il direttore aggiunto dell’Oms per le Iniziative strategiche, Ranieri Guerra. Nessuno, in questi mesi, aveva proposto un vaticinio così minaccioso stabilendo un parallelo con l’agghiacciante influenza del 1918, col suo spaventoso bilancio di decine di milioni di vittime intorno al mondo.
Evocata di continuo in questi mesi, essendo il precedente più vicino, la Spagnola e il Covid-19 presentano in realtà molte differenze, e gli accostamenti andrebbero maneggiati con cura. Intanto i due virus sono diversi, anche se si trasmettono entrambi attraverso le vie aeree e provocano infezioni gravi e complicate del tratto respiratorio.
Un contesto lontano anni luce da quello odierno, quanto a conoscenze scientifiche, strutture di sanità pubblica, cure, disponibilità di sistemi tecnologici di terapia intensiva, che hanno permesso di salvare migliaia e migliaia di vite.
Che dire? Giusto e sacrosanto raccomandare le precauzioni contro il nemico virus di oggi e insistere sulla memoria della tragedia provocata dal virus pandemico di ieri. Ma anche basta con questo fantasma della seconda ondata, evocato da politici, esperti, consulenti vari. Viene alla mente, chissà perché, la poesia di Costantino Kavafis “Aspettando i barbari” . Vita sospesa e tutti ad attendere “raccolti nelle piazze”. Alla fine però i temuti invasori non si fanno vedere.
Che anachronism.
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