La scrittrice Emma Cline, fotografata nell’agosto 2020 in California dove è nata e dove è tornata dopo un periodo a New York La giustizia americana a inizio 2020 ha sentenziato: Harvey Wenstein è colpevole di violenze e abusi sessuali, di stupro.
«Per meschinità intendo la difesa a oltranza dell’ego: ognuno di noi pensa di essere l’eroe della storia. Possiamo avere cattivi pensieri ma ci reputiamo persone buone. No? Anche io vivo in una bolla e anche questa consapevolezza fa parte della mia bolla, di come mi racconto le cose.
In “Harvey” il punto di vita è di Weinstein, che si auto-assolve. In alcuni passaggi ne vediamo l’indole prevaricatrice, ma a tradirlo è il corpo. Il suo, non quello delle vittime delle molestie. Lui prova vergogna, evita di guardare il suo sesso, in bagno. Sa di vendetta narrativa sulla mascolinità...
Altro elemento reale presente nel romanzo è il dossier degli avvocati di Weinstein con le foto di attrici che poi l’hanno accusato: “Lo baciavano sulla guancia! — scrive — gli s’incollavano addosso, premendo il viso contro il suo, praticamente se lo scopavano contro il tabellone degli sponsor”.
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