Poco prima di morire, dieci anni fa l’1 novembre 2009, Alda Merini si mise lo smalto rosso. Un gesto inconsueto da compiere al reparto oncologico del San Paolo di Milano, ma resta difficile credere sia insignificante per una poetessa candidata al Nobel.
E chi meglio di lei, segnata dal disagio fisico ed economico, uscita ed entrata dagli ospedali psichiatrici e scandalosa per le sue pose libertine anche dopo gli «anta». «Era provocatoria, che è diverso, e lo faceva con le parole e con il suo corpo, ad esempio mostrandosi col seno nudo, ma non era mai fastidiosa e volgare.
Certo è che lei visse tempi duri nei manicomi precedenti la legge Basaglia e per molti fu proprio la sua arte a salvarla. Una vicenda simile, come riteneva Pier Paolo Pasolini, a quella del collega Dino Campana, cui Michele Placido dedicò «Un viaggio chiamato amore» con Stefano Accorsi e Laura Morante nei panni di Sibilla Aleramo, e chissà che anche la poetessa dei Navigli non finisca presto in un film.
Per intanto i negozianti delle sue strade milanesi la ricordano esponendo le foto di lei che entra nelle botteghe della zona, il Comune le intitola un ponte sul Naviglio Grande non lontano dalla sua vecchia casa di Ripa di Porta Ticinese e la casa museo Boschi-Di Stefano ospita la mostra «Alda Merini e Alberto Casiraghy. Storia di un’amicizia». Quest’ultima dura fino al 10 novembre ed è dedicata al sodalizio tra la poetessa e l’editore che ha portato alla produzione di 1.
In libreria poi solo quest’anno sono usciti oltre una decina libri su o di Merini. Oltre alla recente raccolta di versi «Confusione di stelle» a cura di Riccardo Redivo e Ornella Spagnulo, segnaliamo la biografia «Alda Merini. L’eroina del caos» di Annarita Briganti in cui vengono ripercorsi i due matrimoni, le quattro figlie, i ricoveri, i furori e le solitudini dell’artista.
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