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Vita al bancone da cavaliere di lungo sorso

L’insegna, i tavolini e il bancone tracciano il confine di due visioni del mondo, fiume spartiacque dove non scorrono solo caffè e aperitivi. Da una parte c’è chi ripudia il presunto oziare, tempo perso e vacuità di chiacchiere da bar insomma. Sull’altra sponda l’antitesi, chi del bar fa invece filosofia di vita prima che passatempo, quasi una religione laica. Con i suoi riti, la sua liturgia, i suoi officianti.

Beppe Maschio, ha prima scoperto e poi via via assaporato la «vocazione», alzando per quarant’anni la saracinesca dei suoi locali. Ora è in pensione, «E già, sono un “cavaliere di lungo sorso”» scherza. Un «Re Mida», a guardare bene: caffetterie, latterie sull’orlo del fallimento rinate dopo il tocco di Beppone, uno capace di riempire un bar pure in mezzo al deserto.

Classe 1956, phisique du role, battuta pronta, vulcanicità, ma pure la sensibilità di scrutare e intuire dall’alto del bancone gli stati d’animo, leggendo nei fondi dell’espresso, scrutando nel riflesso della vetrata dei liquori tristezze e speranze dei clienti. Interprete insomma di un mondo che scompare nel caffè amaro della fretta e della frenesia. Di una piccola città di provincia non più da bere.

«Dal 1981 fino al 1995. Il bar come lo intendo. C’eravamo noi, il Lupi e il Cocchi. Ricordo tutto, dai volti ai tornei di calcio, i tavolini e il flipper».«Oh, eravamo gli unici con le ponpon girl. Tutti tifosi dell’Astense e il gusto del canestro: Alfredo Zerilli, Giorgio Locatelli, Ferdinando Perosino,Franchino Nosenzo, Giorgio Casonato, Marco Resciniti, Federico Reggio. Il coach era Roberto Mantello, uno che stava in serie C».

 

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