Se mai vi capiterà di incontrami una sera al bar, di certo mi troverete insieme a qualcuno che mi parla fitto fitto al tavolo, intento a raccontarmi tutti i suoi problemi esistenziali. Sono fatta così: ascoltare per me è una forma di rispetto, e nella vita sono sempre stata più analista che paziente.
La psicoanalisi invece mi ha emancipata: è stato come se, anno dopo anno, strati di sofferenza e di problemi venissero sollevati, liberando e mettendo in mostra la mia essenza. Se prima la mia psiche rischiava di rimanere intrappolata in meccanismi nevrotici, ansie e timori, durante e dopo la terapia si alleggeriva del loro peso. Tutto ciò è stato fondamentale per i traguardi lavorativi, per la carriera, ma anche per le relazioni.
Ho raccontato la mia storia perché credo fermamente che l’esperienza soggettiva sia preziosa per aumentare la confidenza con le tematiche di salute mentale e possa in qualche modo aiutare a uscire da quel sillogismo per cui psicoterapeuta, psicoanalisi, cura e sedute significano matto e persona da cui girare alla larga. È grottesco e anche pericoloso, un incentivo a tenersi i malesseri per sé, a covarli, e a non riuscire mai ad affrontarli in tempo.
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