Quel che contava era la velocità di produzione e non l'incolumità del lavoratore negli opifici abusivi dove i ritmi in cui si realizzavano borse e cinture vendute come accessori di lusso del Made in Italy, erano"massacranti" e gli immigrati in nero e sfruttati erano, eccetto una ragazza italiana, di origini cinesi o pakistane.
E' uno spaccato inquietante, dove l'essere umano e la sua salute hanno poca importanza, quello che viene a galla dagli accertamenti dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro, coordinati dai pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, sugli laboratori illegali che producevano in subappalto per la Giorgio Armani Operations Spa, società del colosso della moda e che da ieri, al fine di tutelare l'attività di impresa, è in amministrazione giudiziaria.
L'inchiesta che ha portato all'iscrizione del registro degli indagati solo i titolari dei quattro opifici clandestini interessati, ha ricostruito la 'filiera' a partire dalla G.A.
In merito GA Operations, che ritiene di avere"da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura", il Tribunale spiega che avrebbe"colposamente alimentato" tale 'meccanismo' in quanto non avrebbe 'verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici".
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