Università, perché i concorsi non premiano il merito | Milena Gabanelli

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Le falle aperte nei meccanismi di reclutamento dei professori universitari vanno avanti da più di quarant’anni

. Ma non c’è nemmeno bisogno di truccare le carte, vista la consuetudine a mettersi d’accordo sul finto rispetto delle procedure. Parliamo dell’università, il luogo che sforna i futuri professionisti e la futura classe dirigente e dove a fare la differenza è la qualità del corpo docente. Ebbene,

E questo disprezzo per il merito condanna il nostro Paese a essere fuori dalla top 100 delle migliori università mondialiLa carriera dentro i 97 atenei italiani inizia con il dottorato e l’assegno di ricerca, poi segue il titolo da ricercatore. Quindi si diventa associati e infine ordinari . In totale, i professori sono 37.996. Il loro impegno tra lezioni, esercitazioni, laboratori e seminari, è di un minimo di 120 ore all’anno. Lo stipendio parte da 2.

. La novità consisteva nell’introduzione di un’abilitazione scientifica nazionale, dove i candidati sarebbero stati valutati per titoli da una super-commissione nazionale dopo aver scremato i curricula, al fine di assicurare un buon livello di partenza. . Il candidato prima deve superare l’abilitazione nazionale per titoli, valutato da una commissione di cinque super-commissari estratti a sorte. Gli abilitati fanno poi il concorso indetto dalle università. I commissari scendono a tre sorteggiati fra cinque, ma vengono indicati dalla stessa università.

a meno che tra maestro e allievo ci sia «reciprocità d’interessi di carattere economico» . In pratica, dunque, dopo l’abilitazione scientifica l’ateneo ha pressocché mano libera su tutto. Del resto,

 

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Non ci voleva la Gabanelli bastava pensare a come sia possibile Conte insegnante e Tomaso rettore

Perché siamo un paese apertamente fascista che premia solo conformità, obbedienza e leccaculismo? 🤔

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