TORINO. È un razzismo che germoglia nei piccoli gesti quello denunciato ieri dai giovani seduti in piazza Castello per ricordare George Floyd, l’afroamericano ucciso il 25 maggio scorso a Minneapolis dall’ex agente Derek Chauvin.
Un razzismo quotidiano: fatto di ghigni per il colore della pelle, di parole bofonchiate a denti stretti sul pullman, di sguardi di disprezzo al supermercato, di porte in faccia quando si cerca una casa o un lavoro. Sono in migliaia, nel centro città. Vestiti di nero, in solidarietà al movimento Black Lives Matter. In mano cartelli con messaggi di protesta: «No al razzismo», «White silence is violence».
La polizia spegne i focolai dei pochi che cercano lo scontro. Si intromettono anche alcuni manifestanti. Ma rientra tutto in pochi minuti. Restano le immagini e le storie che abbiamo raccolto e che ora raccontiamo.«Sono nata in Camerun e mi sono trasferita qui ormai dodici anni fa. Ho tre figli: il primo è nato in Africa mentre Naomi, l’ultima, è nata in Italia e speravo che almeno lei non sarebbe mai stata discriminata. Invece è successo addirittura a scuola.
Mi sono bloccata, non riuscivo a non pensarci. Fortunatamente queste cose non capitano nella mia Università: sono a Torino da due anni, ne ho 25 e studio Mediazione Linguistica. In Università si respira un altro clima, per strada nei momenti di tutti i giorni la situazione mi preoccupa».
Chi è veramente floyd
Già abbiamo importato il virus,ora dobbiamo importare anche le guerre degli altri?
Ma il problema è la violenza della polizia americana o il razzismo per questi? Perché nell’uno e nell’altro caso mi chiedo che motivo ci sia per manifestare.
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