. L’oceano è intasato di reti da pesca dismesse o perdute, che non si degradano e che ogni anno uccidono milioni di pesci, mammiferi marini e uccelli. Alcuni rifiuti vengono recuperati in eroici sforzi di pulizia, ma la maggior parte si tramuta in un’eredità tossica. L’ingestione di plastica da parte degli animali è un problema enorme, ma ancor più preoccupante è l’impatto delle micro e nanoplastiche che si generano quando la materia plastica si sfalda.
Il Mediterraneo si sta tropicalizzando: è sempre più salato e caldo, e invaso da specie aliene. Siamo ancora in tempo per fare qualcosa? Sì! Il Mediterraneo potrà beneficiare delle azioni sul clima intraprese a livello globale, ma ci sono anche cambiamenti di comportamento a livello locale che possono fare la differenza. Ripristinare e tutelare habitat naturali come le praterie di alghe, e aumentare la protezione della fauna marina – dai tonni agli squali e alle aragoste, dai dugonghi e alla foca monaca mediterranea sono azioni che aiutano a riportare in salute l’oceano, con un impatto sul benessere umano.
La popolazione sul pianeta aumenta – siamo 7,8 miliardi – e la biodiversità marina è a rischio anche per un eccessivo sfruttamento. Dovremmo cambiare la nostra dieta per salvare gli oceani? Dagli anni Cinquanta, la pesca industriale è globalmente cresciuta, esaurendo specie una volta abbondanti, come tonni, aringhe e scampi. Ecosistemi che si sono formati in 4,5 miliardi di anni stanno collassando in 4,5 decenni. Consumare carne selvatica – terreste o marina – per alcune persone è un mezzo di sussistenza, ma la maggior parte del pesce è pescato per denaro. Il più vasto commercio di animali selvatici del 21° secolo riguarda la fauna oceanica.
In che senso declinata?
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