A ogni passo la primavera sboccia attorno a mesignifica “Io sono una ragazza”. È un coro festoso che intonano le giovani studentesse afghane. L’ho ascoltato per la prima volta 15 anni fa dalle parti di Darulaman Boulevard, vicino allo zoo di Kabul, dentro a un edificio malconcio incastrato in un labirinto di viottoli e macerie.
Ho mantenuto per anni contatti con una di quelle insegnanti, Masooma, oltre che con il mio traduttore Massud. Brevi missive attraverso Facebook. Frasi incoraggianti dapprima, preghiera di rivedersi poi, infine un lento e inesorabile scivolare nell’incredulità. Più di recente, la paura. Masooma e Massud sono entrambi scomparsi da Facebook ormai da tempo. Di Massud conservo un numero di telefono che suona a vuoto.
E mentre il Ministro dell’Educazione Farooq Wardak assicura che non verrà imposto alcun impedimento all’educazione delle ragazze, in quasi tutte le province del Nord Ovest attorno a Sheberghan, le scuole per bambine sono deserte se non distrutte e si parla di almeno 60.000 ragazze che hanno dovuto abbandonare gli studi. Restano ancora aperte solo alcune scuole dell’infanzia. Si narra di decine di ragazzine che mentono sulla loro età per potervi ancora accedere.
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