«Quando mio padre era vivo, si preoccupava della fine che avrebbero fatto i suoi disegni alla sua morte. Quando è scomparso, ho sentito che dovevo proteggerli e proteggerlo. La biografia è un modo per ricordarlo anche come personaggio». Così la figlia di Benito Jacovitti, Silvia, ci racconta la filosofia alla base degli omaggi a suo padre.
Quei disegni, poi diventati la sua cifra, erano per prendere tempo». Che ricordi ha del suo lavoro? «Si chiudeva nel suo studio, dalla mattina alla sera, dovevamo bussare per entrare. Per me quella era una specie di stanza della magia. E la viveva così anche lui. Gli bastavano un foglio, un pennino e una boccetta di china nera per creare un mondo. Non serviva altro». Il suo personaggio preferito? «Li amava tutti, ma direi Cocco Bill.
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