Una associazione di fornitori proprietari del marchio, grazie al contributo delle Fondazioni bancarie – Crt e Compagnia di San Paolo –, i contenuti affidati al Circolo dei lettori di Torino e alla direzione editoriale di Nicola Lagioia, 13mila metri quadri di spazi in più e Aie e Adei, rispettivamente l’Associazione italiana editori e l’Associazione degli editori indipendenti riuniti sotto uno stesso tetto, insieme a librai e biblioteche.
Le ferite della vecchia della Fondazione del Libro sono ancora aperte. Lo ricorda nel suo intervento Silvio Viale, il presidente dell’Associazione in cui si sono riuniti parte dei fornitori storici del Salone, diventati creditori nella procedura di liquidazione. «Per arrivare a questo risultato ci abbiamo messo buon senso e tutti – ricorda Viale – hanno rinunciato a qualcosa.
Nuovo assetto, dunque, e qualche sfida in più per il Salone del Libro di Torino, a cominciare da una formula che per la prima volta dopo anni si rinnova nell’offerta al pubblico: la trentaduesima edizione del Salone perde il padiglione 5, storica sede del Bookstock Village, e guadagna l’Oval del Lingotto, dove saranno allestite due sale, da 700 e 200 posti, per ospitare gli incontri con gli scrittori.
Quanto ai contenuti, il Salone internazionale del Libro di Torino adotta lo spagnolo come lingua ospite dell’edizione 2019, ripropone i format cresciuti negli anni come “Adotta uno scrittore”, con il coinvolgimento delle scuole, la Ibf, International book forum, la sezione dedicata all’incontro B2B professionale per il mondo dell’editoria e a dell’audiovisivo italiano e internazionale, che l’anno scorso ha ospitato operatori da 36 paesi, il Premio Strega europeo e quello dei ragazzi.
Sono stati mesi difficili, ricorda Nicola Lagioia, ripercorrendo le tappe di un racconto a metà «tra un film di Capra e un’opera di Dickens». E torna riproponendo quel carattere da «manifestazione popolare vera» aggiunge Lagioia, che mette insieme grandi numeri e contenuti alti. A dare il titolo, quest’anno, è un’opera di Julio Cortázar, “Il gioco del mondo”, perché nessuna cultura, aggiuge Lagioia, «può fare a meno delle altre».
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