Per raccontare due verità ripensa al nonno che ti cantava la storia di Voltaire e Rousseau

Partiamo dall’ultimo. E, per ultimo, intendo l’ultimo capitolo, il più bello, se posso permettermi. Laura Campiglio chiude il libro con un atto melanconico dedicato al nonno Pietro, un vecchio eccentrico che cantava alla nipotina un motivetto francese sugli illuministi Voltaire e Rousseau.

. Anna accetta, ma «La Locomotiva» improvvisamente fa marcia indietro e la richiama, la rivuole al suo posto. Non potendo ritirarsi, alla reporter non resta che celarsi dietro due pseudonimi e dividersi, affidare a due voci contrastanti, distanti anni luce l’una dall’altra, il suo giudizio sulle cose, voci che commenteranno ogni notizia con uno sguardo antitetico, facendosi battaglia.

Il richiamo alla dualità fra gli illuministi francesi non è casuale, il tema centrale del romanzo preme sulla difficoltà che abbiamo oggi di possedere la verità. Sono le opinioni a essersi fatte verità, in un mondo, quello della comunicazione e della politica, in mano non più, ahimè, a fini intellettuali e menti brillanti, come potevano essere i due francesi.

Laura Campiglio al suo terzo romanzo ci porta dentro queste dinamiche, ci parla della manipolazione della verità, dei mali di una politica e di una società pronte a cambiare idee, opinioni e strada per una poltrona o un lettore in più, ci descrive un Paese fragile e in mano a incapaci, che non sa più affidarsi a chi le cose le conosce davvero e sa come agire.

Attraverso la cifra della commedia, da sempre lo strumento di chi vuol raccontare la realtà, l’autrice ricama con tono lieve il ritratto di una generazione bistrattata, sfruttata, precaria di lavoro e di vita affettiva, e impossibilitata a costruire qualcosa di duraturo, una generazione alla quale è stata tolta anche la possibilità di consegnarsi in mani sicure. A questa generazione domani il Paese chiederà gli straordinari, di essere accompagnato per mano fuori dalla melma.

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