«La notte che fuggii dalla terra dei giganti partii nel pieno di una tormenta che, temevo, avrebbe presto reso le strade del tutto impraticabili». Che bello partire in una tempesta di neve e lasciarsi alle spalle tutto. Al diavolo e arrivederci. La tormenta che a fine anni ottanta Peter Kaldheim, 37 anni, disoccupato ex editor con velleità da scrittore, si lascia alle spalle non è solo meteorologica, ma anche esistenziale, lavorativa, bancaria.
Da lì, nella migliore tradizione americana dai pionieri a Jack Kerouac, parte a gambe levate, per evitare la Mazza e andare a ovest, o insomma dove lo porta il vento., come un celebre pezzo di Bob Dylan. Che cos’è questo vento? Se in Dylan è il continuo blaterare di una coppia in crisi. Per Kaldheim coincide con, parola greca che definisce l’indole ignava di mandare tutto a puttane. Debolezza, volubilità.
Kaldheim parte con poca roba e molta paura. «Una confezione di pane in cassetta Wonder Bread. Un barattolo di marmellata di uva Welch’s. Un pacco doppio di rasoi Bic usa e getta. Un tubetto di dentifricio da viaggio Colgate. E una confezione di tabacco da rollare Bugler. Non si poteva dire che non viaggiassi leggero». Quando arriva in Virginia, non sa come proseguire.
Il tono è scanzonato, divertito da se stesso e dal mondo, anche quando trova in sé e nel mondo solo disperazione. Peccato per qualche stucchevolezza di troppo , ma gliele si perdona. Sotto un cavalcavia trova la scritta: «Dieci anni sulla strada. Che Dio mi aiuti, devo essere pazzo». Ma Allen Ginsberg è morto, Neal Cassady è morto e noi ce la caveremo. «Chissà, magari ci scappa pure un libro». Infatti.
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