Ragazzi protestano davanti a una casa dove sono stati uccisi tre ribelli a Srinagar, nel Kashmir indiano, 21 giugno 2020.In un pomeriggio di inizio giugno Sajad Ahmad Beigh, 23 anni, proveniente dal distretto di Shopian, nel Kashmir del sud, è uscito di casa con un gregge di pecore, diretto verso un bosco poco distante. Non ha mai fatto ritorno.
A Srinagar, città dove si è verificata la maggior parte dei conflitti a fuoco, negli ultimi due mesi sono stati uccisi cinque ribelli nell’ambito di due operazioni miliari. Tra le vittime ci sono anche tre civili, che secondo le famiglie sarebbero stati uccisi dallo scoppio improvviso di un “ordigno inesploso”. Uno di loro, Basim Aijaz, aveva dodici anni.
La maggior parte dei leader indipendentisti, oltre a un gran numero di leader filoindiani, tra cui l’ex prima ministra del Kashmir Mehbooba Mufti, sono in prigione dall’anno scorso, quando il governo indiano ha deciso di privare la regione del suo statuto speciale e imporre una stretta militare e sulle comunicazioni. Il blocco di internet è stato cancellato nel febbraio 2020, ma il Kashmir è ancora senza una connessione ad alta velocità.
Gli abitanti del Kashmir temono che la legge in questione si riveli uno strumento per provocare un cambiamento demografico nell’unica regione indiana a maggioranza musulmana. In precedenza la legge aveva impedito ad abitanti “esterni” di acquistare terre e stabilirsi in Kashmir, ma alla fine di giugno 25mila persone provenienti da altre aree del paese hanno ottenuto un permesso di residenza nella regione contesa, rivendicata anche dal Pakistan.
Shahida ha raccontato che il telefono cellulare di Sjad era stato sequestrato dall’esercito mentre il ragazzo pascolava il bestiame poco lontano da casa. “L’esercito gli aveva detto di andare a ritirarlo. Quando si è recato nella caserma l’hanno picchiato e torturato. Non riusciva a camminare, gli facevano troppo male i fianchi. Poi gli hanno detto di nuovo di andare a prendere il telefono, ma non è andato perché aveva paura. Il telefono ce l’hanno ancora loro”.
La madre di Malik, Habla Begum, di 50 anni, dice che i familiari sono stati perseguitati dalle forze di sicurezza per due anni quando il ragazzo militava tra i ribelli. “Ogni giorno perquisivano casa nostra. Durante quei mesi siamo stati costantemente in ansia. Non mi hanno fatto vedere il suo cadavere. Un giorno abbiamo saputo che era morto”, racconta nella sua casa di Baghandar. “Hanno picchiato il fratello minore di Malik, che ha 18 anni.
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