AGI - L’incontro con Mahmood avviene al Melkweg, uno dei templi della musica live di Amsterdam. È il pomeriggio del 26 aprile, il locale dista solo una manciata di metri da Leidseplein, una delle più importanti e vivaci piazze della città, dove fervono i preparativi per la “King’s Night”, ovvero la notte che precede il “King’s Day”, la festa del Re, la più sentita tra le feste del calendario olandese, nonché una delle più folli e divertenti.
Non è il primo concerto che seguiamo ad Amsterdam, inseguiamo live di qualità in questa città dall’atmosfera così speciale già da una ventina d’anni, i Gogol Bordello, i Jamiroquai, i Muse, gli Eels, John Mayer, giusto per fare qualche nome, ma mai un artista italiano e quello che ci aspetta tra poche ore ha, ai nostri occhi, dell’incredibile.
Mahmood sul palco è stiloso, sexy, coinvolgente, calca le assi del Melkweg con naturalezza e audacia, non si risparmia mai; la messa in scena è psichedelica ma mai fine a se stessa e, soprattutto, non distrae dall’intensità di un cantato che risulta, come al solito, come sappiamo bene, ipnotico.
Mahmood è una superstar internazionale, che parla il linguaggio musicale degli Stromae, dei L'Impératrice, dei Daft Punk, dei Darin, di tutti coloro i quali in pratica riescono a tradurre e smistare la propria idea di musica pop senza doppie capriole mortali ammiccanti, mantenendo il proprio intimo intellettualismo, percependo l’importanza della propria identità artistica, della propria essenza, senza diventare mai spot di se stessi.È come me l’aspettavo.
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Bellissimo articolo
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