La televisione di stato minimizza. i programmi continuano come se oggi fosse una giornata qualunque. Come se all'alba Israele non avesse sferrato il suo contrattacco, la risposta alla pioggia di droni e missili che sabato 13 aprile gli ayatollah hanno mandato verso lo Stato ebraico per rispondere, a loro volta, al bombardamento israeliano all'ambasciata di Damasco. Solo qualche sottopancia: riaprono gli aeroporti. Oppure: un attacco fallito.
Sui social si moltiplicano i video e le foto delle «famose» e famigerate camionette bianche della polizia religiosa con gli sportelloni aperti e quelle scene che abbiamo imparato a riconoscere in cui si vedono donne trascinate per i capelli, picchiate, che gridano, che piangono. Punite per non indossare l'hijab. «Mandano droni su Tel Aviv, ma il vero campo di battaglia rimane il nostro corpo», dice sempre Samira.
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