Dal lungo periodo di pandemia, una delle questioni più di impatto per chi si occupa di comunicazione è stata cercare un senso a questo dilemma: se il paradigma è cherelazionarsi dovendo stare distantivideocomunicazione.
È una tecnica che spesso si usa nella gestione delle obiezioni: se qualcuno esprime un disaccordo, la prima cosa da fare è accogliere il disaccordo stesso . E siccome l’accoglienza di per sé non si vede, è più potente se viene verbalizzata. Ad alcuni viene spontaneo, ad altri meno, ma in una relazione che ha poco tempo per realizzarsi qualche “acceleratore” verbale può non guastare.
In fondo siamo abituati a compensare: pensate a quanto lo facciamo al telefono o a quanto abbiamo interiorizzato l’utilizzo degli emoji come “chiarificatori emotivi” nelle nostre chat. Gianfranco Marrone, in un articolo sul tema, ci dice “non sappiamo bene cosa accadrà, ma possediamo i mezzi per pedinare la nascita, l’affermazione e la trasformazione delle ulteriori forme prossemiche che il maledetto virus - o chi per lui - ci sta imponendo”.
Tra questi mezzi, proviamo a vedere lo spazio come una opportunità. Ad esempio, il vero ascolto lo otteniamo nella sintesi tra noi e l’altro, e per questo dobbiamo lasciargli dello “spazio”. Perché se non c’è spazio non c’è sintesi, ma diventa simbiosi . Ogni tanto prendo a prestito dal mondo teatrale, lo faccio anche adesso: persino nella antica pratica di recitazione con le maschere, Jacques Lecoq ci insegna che “la maschera non deve aderire completamente al volto.
Imposte dai governi, altro che pandemia!
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