Nell'Istituto di ricerche esplosivistiche fondato a Parma da Danilo Coppe si studiano tante cose, per esempio come far esplodere ponti e palazzi senza farsi maleLe persone che di lavoro maneggiano esplosivi vengono chiamati “esplosivisti”, e devono rispettare molte regole. Alcune sono molto più importanti di altre. La prima, per esempio, è «non uccidere». La seconda, altrettanto indispensabile, è «non uccidersi».
L’IRE è un’organizzazione senza scopo di lucro fondata da Coppe con l’obiettivo di diffondere lo studio della scienza, della tecnica, della giurisprudenza e soprattutto la cultura della sicurezza quando si ha a che fare con gli esplosivi. All’interno ci sono migliaia di cimeli, reperti di bombe, missili, inneschi, una collezione che si è sviluppata negli anni e si è trasformata in uno dei musei dell’esplosivistica più importanti in Europa.
Negli anni successivi abbattè con l’esplosivo moltissimi altri edifici, alcuni dei quali piuttosto noti come le Vele G e H di Scampia, l’ex ILVA di Genova, molti palazzi pericolanti dopo il terremoto dell’Aquila del 2009 e dell’Emilia-Romagna nel 2012.
Il lavoro più importante è stato anche uno dei più complessi. Intorno al ponte Morandi di Genova infatti c’erano centinaia di case e condomini, linee elettriche, la rete del gas, quella della fibra ottica. La ricognizione durò a lungo e servirono due mesi per preparare le esplosioni, infine distribuite in soli 4 secondi. «Dal punto di vista strutturale però non è stato l’intervento più complicato», racconta Coppe.
In Italia esistono pochi depositi che vendono esplosivi e non sono aperti a chiunque: per comprare, trasportare e maneggiare esplosivi servono certificazioni e autorizzazioni diverse a seconda delladi esplosivi richiesta. Nella prima categoria sono comprese le polveri, nella seconda le dinamiti, nella terza gli esplosivi detonanti, nella quarta gli artifici, nella quinta le munizioni di sicurezza e i giocattoli pirici. Ci sono tre depositi al Nord, tre al Centro e tre al Sud.
Una delle competenze difficili da apprendere a scuola è l’abitudine a convivere con il rischio. «Quando si è giovani si ha meno paura per via dell’incoscienza, man mano che si cresce subentra un po’ di ansia da prestazione, poi quando si è ormai esperti è meno probabile avere paura», dice Coppe. «In realtà nel nostro lavoro bisogna soprattutto ostentare sicurezza, perché non è possibile non avere pensieri.
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