La lotta al contagio si fa con il supercomputer più potente del mondo

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In pochi gionri la macchina ha simulato giorni 8mila composti per comprendere il meccanismo della diffusione del Coronavirus

Si chiama Summit, l'ha progettato e realizzato Ibm ed è in esercizio presso l'Oak Ridge National Lab del Tennessee, negli Stati Uniti. Da qualche giorno è una delle armi attraverso le quali le autorità americane, e nello specifico il Dipartimento dell'Energia, stanno combattendo l'epidemia del Coronavirus, sfruttando le sue enormi capacità di calcolo per effettuare le complesse elaborazioni che potrebbero portare alla sua inibizione in brevissimo tempo.

La potenza computazionale di questo supercomputer, il primo della classe al mondo grazie a suoi 200 petaflop di picco è già servita a raggiungere un importantissimo risultato.

“La selezione dei composti che in laboratorio vengono messi a contatto con il virus per capirne la reazione, si legge nella nota diffusa alla stampa da Ibm, resta un processo lento senza l'ausilio dei computer in grado di restringere il numero di potenziali variabili; ogni variabile può essere composta da milioni, se non miliardi, di dati unici e aggravata dalla necessità di condurre simulazioni multiple”.

Nel caso dei supercomputer, in particolare, non è certo una novità l'apporto prestato alla comunità e alla ricerca scientifica. Sedici anni fa, Blue Gene di Ibm, il primo esemplare capace di operare su base “petascale”, giocò un ruolo decisivo nel sequenziamento del genoma umano da cui sono nati nuovi farmaci, permettendo di simulare circa l'1% della corteccia cerebrale e aumentando considerevolmente il livello di comprensione del cervello umano.

 

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Dopo le misure usciranno tutte le soluzione.

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