Della storia del giudice Amedeo Franco, morto un anno fa, e del quale è uscita l’intercettazione in cui dichiara una porcheria la sentenza di cui fu relatore, e che condannò Silvio Berlusconi in via definitiva per frode fiscale, non mi stupisce nulla. Non mi stupisce che davanti al Consiglio superiore della magistratura avesse garantito sulla perfetta regolarità del lavoro suo, e dei suoi colleghi, poi privatamente definiti un «plotone d’esecuzione».
Non mi stupisce questo viluppo di telefonate e aperitivi e cene di magistrati, a fare mercimonio di nomine, secondo il peso di una o dell’altra corrente, e secondo il peso di una o dell’altra promozione. Non mi stupisce che abbiano esteso le occasioni conviviali e mercantili alla politica, da cui rivendicano l’indipendenza solo dopo l’ammazzacaffè.
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