Un interrogatorio faccia a faccia, in una stanza isolata. È il classico metodo con cui gli investigatori hanno sempre strappato le confessioni ai sospettati. Il problema è che durante una pandemia stare a meno di due metri da un’estraneo per un periodo di tempo prolungato e in uno spazio ristretto e poco ventilato può essere molto rischioso.
In questo momento, però, la necessità d’interrogare i sospettati all’aperto aumenta le possibilità che un passante osservi quello che i poliziotti dicono e fanno. In altre parole, cresce la sorveglianza delle azioni delle forze dell’ordine da parte dei civili. Inoltre i colloqui a distanza costringono i poliziotti a registrare tutto quello che succede, permettendo così a un giudice e a una giuria di stabilire se la confessione è stata ottenuta in modo corretto.
In un contesto segnato dalla pandemia e dalle proteste, in alcune città le forze dell’ordine stanno modificando i comportamenti degli agenti. Già a metà marzo gli investigatori di Miami valutavano i possibili rischi sanitari degli interrogatori, racconta Armando R. Aguilar, assistente capo del dipartimento di polizia locale.
Storicamente i poliziotti sono stati sempre addestrati a invadere lo spazio fisico del sospettato per aumentarne l’ansia, spiega David Thompson, vicepresidente della Wicklander. “Quello stile era già in declino. Ora il covid-19 ha accelerato il passaggio”. Thompson sottolinea che le tattiche manipolatorie servono a far sentire il sospettato fisicamente vulnerabile e alla mercé dell’investigatore. Questo alimenta nell’individuo la sensazione di dover rilasciare una dichiarazione falsa.
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