Sono tornata a lavorare nelle scuole femminili. Ho ricominciato ad ascoltare le voci delle ragazze e a interrogarmi sui silenzi delle donne. Negli anni ottanta ho ascoltato e parlato con centinaia di ragazze tra i sette e i 18 anni in varie scuole negli Stati Uniti. Ricordo il giro di boa dell’adolescenza quando, crescendo, le ragazze chiamavano stupida, maleducata, egoista, cattiva o pazza ogni voce onesta. Spiacevole e insopportabile erano gli aggettivi usati da Anna Frank.
Ascoltare le ragazze mi ha fatto ripensare a ciò che intendiamo quando parliamo di relazioni. Il dipartimento della sanità degli Stati Uniti ha parlato del dilagare della solitudine e di come i contatti siano essenziali per la nostra sopravvivenza e il nostro benessere. Ma mettere a tacere le ragazze è la spia di un problema più profondo. Da loro ho imparato cos’è il momento in cui si decidono le sorti di una relazione.
È per questo che sono tornata a lavorare nelle scuole. Ed è per questo che le dirigenti delle scuole femminili stanno lanciando l’allarme o forse, più precisamente, stanno prendendo in mano la situazione, vedendo il potenziale per una trasformazione che parte dalle ragazze e coinvolge la loro istruzione.
Anna, una brillante studente di 14 anni, scrive due temi distinti sulla leggenda dell’eroe: uno per prendere un voto alto, l’altro per dire quello che vuole dire. Anna viene da una famiglia della classe lavoratrice e ha bisogno di un buon voto per prendere una borsa di studio e andare al college.
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