ROMA. Tutti gli spettacoli, le mostre e i concerti che abbiamo mancato in queste settimane di confinamento ingialliscono sui muri delle città, dove,, strati di manifesti illustrano la vita che non è stata. Non è stata due volte, per il pubblico che dialoga con l’arte ma anche e soprattutto per l’alter ego di quella conversazione, attori, musicisti, performer, i mille volti del fare cultura mai così invisibili, uno dei tanti segmenti sociali spianati dall’epidemia.
Da principio è stato il Papa. Quando durante la Messa a Santa Marta Bergoglio ha risposto alla lettera inviata tra gli altri da Mimmo Paladino, Sergio Rubini e Sandro Veronesi, invitando alla preghiera «per gli artisti che per mezzo della bellezza ci indicano la strada da seguire», si è fatto silenzio, buio in sala.
C’è un arcipelago d’identità che si scopre popolo, nel 2018 l’Inps ha registrato 80 mila attori dello spettacolo con una media di 16 giornate lavorative l’anno e 2800 euro pro capite. Con i musicisti, i ballerini, gli sceneggiatori, i tecnici, gli orchestrali si arriva a 250 mila persone, una città che tiene dentro da Cattelan ai burkers. E poi ci sono quelli che raccontano, gli scrittori, gli editori, i poeti.
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