. Il nuovo picco è il risultato, da un lato, del nuovo annuncio da parte del colosso energetico russo Gazprom di un ulteriore taglio del volume di gas pompato in Nord Stream 1; dall'altro della non facile quadra che i 27 ministri devono trovare su un piano di risparmio. Lo scopo è mettere in sicurezza un'Europa oggi troppo esposta ai capricci del Cremlino.
Ad aprire le danze sono stati i russi: già da giugno Gazprom ha ridotto al 40% la quantità di metano che normalmente vende alla Germania e una parte del quale procede poi verso altri Paesi Ue. Da domani, «per ragioni tecniche», si passa al 20%. A giugno l'azienda russa ha spiegato che il taglio era dovuto al malfunzionamento di una turbina Siemens spedita in Occidente e che non era mai rientrata a causa delle sanzioni.
L'ulteriore taglio al flusso di metano non ha sorpreso i tedeschi, ormai pienamente consapevoli di essersi legati mani e piedi alle pipeline russe; invece ha messo in agitazione tutta l'Unione. Perché «una crisi del gas colpirebbe ogni singolo Stato membro in una forma o nell'altra», ha affermato alla Dpa la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen.
Così, mentre il gas si impennava ad Amsterdam, a Bruxelles gli sherpa che hanno preparato il Consiglio di oggi hanno inserito deroghe al livello del 15% indicato da von der Leyen e proposto che siano cinque e non più solo tre gli Stati membri che possono richiedere lo stato di allerta energetica, la condizione per far scattare l'obbligo di risparmi.
Mentre Bruxelles discute di gas e Mosca gongola a Berlino è anche ripartito il dibattito sul nucleare. Per legge, le ultime tre centrali atomiche tedesche ancora in funzione dovrebbero chiudere i battenti entro fine 'anno ma la stampa, l'opposizione , come anche i Liberali che sostengono il governo di Olaf Scholz, chiedono una proroga: non è questo il momento di privarsi di altre fonti di energia.
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