n quella sera di giugno del 1983 l’aria di Bologna era particolarmente elettrica. Sembrava tutto lontanissimo: gli anni delle proteste giovanili e degli opposti antagonismi, le scene epiche come quella dei carrarmati in via Zamboni, quei tempi incerti e inquieti in cui il conflitto sociale diventava anche interiore e nei cuori convivevano utopia e angoscia.
La professoressa del Dams Francesca Alinovi in un ritratto dei primi anni ’80.
Un suo prezioso contributo a questo mondo è stato, indubbiamente, sgretolare la separazione tra arte d’élite e arte d’evasione. Inoltre, è stata capace di far dialogare il mondo delle istituzioni con gli artisti: oggi è una prassi consolidata, allora erano pianeti lontanissimi e incapaci di comprendere l’uno la lingua dell’altro.
È superando le frontiere consuete che si individua la nuova frontiera dell’arte. Quando nel 1982, alla Galleria comunale d’Arte Moderna di Bologna, viene inaugurata la mostra da lei curata, la prima di cinque sezioni è dedicata proprio al fumetto; tra le opere esposte spiccano quelle di Andrea Pazienza, che già furoreggia e fa correre in edicola e alle mostre schiere di fans. È lei a portare in Italia e in Europa nomi destinati a diventare celebri come Keith Haring.
l milieu artistico era ancora esaltato da quella inaugurazione, quando dovette apprendere una notizia allucinante: Francesca Alinovi era stata assassinata con 47 coltellate nella sua casa di via del Riccio.
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