è praticamente irriconoscibile. Succede nel biopic di Giorgio Diritti,, in concorso alla 70° edizione della Berlinale . Il 39enne romano, premiato alla Berlinale con l'Orso d'argento come miglior attore, racconta di essersi sottoposto quotidianamente a sessioni diper raggiungere questa straordinaria somiglianza fisica, una condizione senza la quale – dice – sarebbe stato impossibile calarsi nella vita tormentata dell’artista.
Senza tutto quel lavoro di prostetica non so se avrei accettato. Questo dipartimento oggi offre grandi possibilità e resta un’eccellenza nel nostro Paese, seppur in un ruolo ancora di sperimentazione. Trascorrere tanto tempo ogni giorno al make-up richiede sacrificio ma senza non sarebbe stato possibile per me farlo. Mi serviva una struttura per esprimere l’umanità, non il matto o il rachitico: non ho raccontato o recitato la sua deformità.
Ligabue ha vissuto una vita ai margini. Cosa si prova a viverla anche se solo per esigenze di copione? Ho detto agli altri attori sul set: “Non sentite Ligabue come un protagonista, perché era considerato uno scarto persino da chi se lo prendeva in casa per i sussidi". In pratica era l’ultima comparsa nella vita delle persone attorno a lui ed è quello che abbiamo messo in scena.
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