Di solito, questa indicazione serve solo per dimostrare che il guidatore teneva un comportamento a rischio. In termini giuridici, ciò si traduce in una violazione dell’articolo 141 del Codice della strada, quello che impone di regolare la velocità in modo da «evitare ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione».
Così, per quanto s’intuisce dalla scarna ordinanza della Cassazione, l’equipaggio dei Carabinieri deve aver “giocato la carta” dell’articolo 142. Verosimilmente, hanno utilizzato il comma 6, che definisce le rilevazioni di autovelox e simili come «fonti di prova», sottintendendo che possono anche esserci altre fonti.Solo che, secondo la Cassazione, il tachimetro non può essere una di queste fonti.
È comunque possibile che l’indicazione del tachimetro diventi una fonte di prova valida, se accompagnata da «altre circostanze oggettive». Solo che la sentenza del Tribunale su cui la Cassazione è stata chiamata a decidere le ha solo genericamente evocate, senza specificare quali fossero. E il giudizio della Cassazione può riguardare solo le sentenze, non i fatti giudicati da esse, che quindi non possono essere “ripescati” in questa fase.
Di solito, a dimostrazioni “alternative” ci si affida dopo un incidente, se una perizia ricostruisce con certezza le velocità .
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