, tra coloro che intendono le politiche del lavoro e il diritto del lavoro quali strumenti duttili e flessibili per garantire tutele alle persone e coloro che continuano ad interpretare il mercato del lavoro con una sola lente, sempre più sfocata, quella del lavoro fordista dell’Ottocento.
Descrivere il Jobs Act come un atto in discontinuità con le leggi Treu e Biagi significa avere perso le coordinate del dibattito sulle politiche del lavoro, poiché esso è stato l’atto finale di una storia iniziata con quelle riforme e che altrimenti non sarebbe stata possibile: un poco come Tony Blair non sarebbe stato possibile senza Margaret Thatcher.
E se dal passato passiamo al futuro ecco che ben si delinea il nuovo punto di frattura tra progressisti e conservatori: riforma della contrattazione contro salario minimo. Perché fa bene il sindacato a ricordare che i salari in Italia sono bassi e che una classe media sta scomparendo ma farebbe bene anche a rammentare che il principale protagonista della politica salariale è il sindacato stesso.
Jobs Act Riformisti Conservatori
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