È stato evocato subito, ai primi segni tangibili dell’epidemia. Già il 26 febbraio, con la situazione ancora relativamente perimetrata, il preside del liceo Volta di Milano, Domenico Squillace,a «condurre una vita normale» e a «leggere Manzoni» , sintetizzandone con esemplare concisione i tratti di una «straordinaria modernità».
Quell’immagine — come succede qualche volta in situazioni simili — riusciva a condensare in sé la tensione crescente di tutti, a risolvere in una sintesi fulminea la paura e il desiderio di vincerla. A loro volta, i dati della peste secentesca in Nord Italia sembrano abnormi se paragonati ai giorni e alle ore che stiamo vivendo. Non si hanno dati precisi sul periodo complessivo ; ma sul biennio centrale , vicino al dato oggi diffuso . A sorprendere, è la distribuzione, per cui decisive sono le due fonti principali di Manzoni, il medico Alessandro Tadino e il medico-canonico Giuseppe Ripamonti.resterebbero a fine epidemia 64.000 abitanti su 250.
: nel 1447 una non meglio precisata «febbre» mieteva 22.
Questi ultimi esempi dimostrano come in Manzoni lo scrittore e lo storico non siano mai davvero separabili. Nei capitoli iniziali sulla peste, però , il Manzoni «storico», pur non potendosene distaccare, prevale temporaneamente sullo scrittore, come mostra il grande lavoro sulle fonti. Lì, è come se gareggiasse coi modelli classici di storici-scrittori, Tucidide o l’amato Tacito.
Mora e Piazza ringraziano, per 200 anni sono stati accusati di essere untori, venne eretta una colonna infame contro di loro. Il tempo è galantuomo
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