è la storia di abiti capaci di riflettere la personalità e il passato di chi li indossa, di chi li inventa. Io ho dovuto soltanto prestarmi al racconto di questa storia».
Che, nel film, si gioca su due poli opposti: da un lato, la Baronessa, dall’altro, la povera Estella, una Crudelia in erba. Come ha lavorato sui personaggi? «La sceneggiatura ha sempre contenuto ogni cosa. La Baronessa, Emma Thompson, è stata descritta come una donna tradizionale e tradizionalista, old fashioned. I suoi abiti avrebbe dovuto rifletterne il rigore, ed è questo che io ho cercato. Ho cercato, come farebbe chiunque si trovasse a scegliere un vestito, di indovinare forme e colori che sapessero esaltare la figura di Emma Thompson, il suo punto vita.
Le differenze tra Estella De Mon e la Baronessa von Hellman paiono sottolineate, anche, dall’uso dei colori. «Questo perché Crudelia deve essere, immediatamente, distinguibile dalla Baronessa, che pu è una stilista di talento. Con Crudelia, è stato facile. Il copione si focalizza sulla sua crescita, sulla sua metamorfosi da Estella a Crudelia. Lavorare su un arco temporale tanto lungo e sfaccettato ci ha permesso di usare gli abiti per raccontare una storia, la sua storia, di ladruncola e bambina che con la madre giocava a travestirsi.
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