L'obiettivo è chiaro: perequare l'assegno di pensione delle categorie di lavoratori che oggi hanno una speranza di vita diversa a seconda di impiego e luogo di lavoro. In altre parole: distribuire gli assegni pensionistici in base a un criterio di equità, "adattandoli" alla speranza di vita dei lavoratori.
Gli assegni di pensione mensili non tengono minimamente conto dell'aspettativa di vita: il coefficiente di trasformazione è infatti uguale per tutti. Lasciando da parte il destino di ciascuno, è vero però che la professione svolta, l'efficienza sanitaria della regione in cui si vive, oltre che le predisposizioni genetiche del singolo, non sono per nulla uguali per tutti.
Non solo, perché andrebbero considerate le differenze tra le professioni svolte e le classi di reddito. Entrambe incidono sulla speranza di vita. Dalla banca dati dell'Inps, secondo quanto riportato dal, emerge che un pensionato iscritto al fondo dei lavoratori dipendenti, operaio o impiegato, ha un'aspettativa media di ricevere l'assegno pensionistico per 17,6 anni.
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