La sera del 10 marzo l’ospedale Sacco mi sembra una città sterminata. Ho 39 di febbre e giro a piedi per le strade vuote tra i padiglioni ospedalieri alla ricerca di un edificio che non riesco a trovare. La tosse e la febbre non aiutano la mia lucidità. Ho appuntamento per fare un tampone dopo due giorni di febbre alta e tosse. Dopo mezz’ora di ricerca la vista del dottore con cui avevo concordato di incontrarmi mi sembra la fine di un incubo. Tutto si sarebbe risolto.
Chi mi fa le analisi però sorride e scherza, mi tira su di morale, si scusa per il fastidio provocato dal tampone infilato nel naso. Ringrazio e mi chiedo cosa, alle 8 di sera possa ancora spingere al buonumore questi ragazzi così sotto pressione.“Ma come! Mi avevano detto che avrei atteso a casa l’esito”.Mi portano in uno stanzone attiguo, neanche una corsia d’ospedale.
Fa pure l’ironica, penso! E lo penso con ammirazione, anche se in quei due secondi di pausa scenica, il suo spirito non mi ha divertito moltissimo. Sento ancora la febbre e il fiato corto. Accendo il telefonino che dopo qualche istante si mette a vibrare per l’arrivo di un messaggio. È il dottore che mi ha fatto fare il tampone.Porca miseria! Il primo pensiero? Non la mia salute. Ma la notizia in sé. Le conseguenze che questo vuole dire per decine di persone. Mia moglie e mia figlia, il dispiacere, il disagio, il senso di sfida, la novità della prova da superare per la mia famiglia e più ancora i miei colleghi.
Ci siamo, mi dico, mi serve tutto, non solo la carica del cellulare, che nel frattempo sta consumando i suoi ultimi istanti di vita. Mi giro verso il mio compagno di stanza che mi dice: “Minchia quelle pasticche sono delle bombe assurde, mi hanno distrutto. Ma ora sto bene e mi stanno dimettendo”. Infatti in mezz’ora se ne va e rimango solo, a cercare di capire dove sono finito. Dove sto andando.
Il problema è che chiunque lavori in tv seppure abbia un pubblico ridotto amplifica l’evento che gli accade, suo malgrado. E così una malattia che colpisce decine di migliaia di connazionali, spesso in maniera molto più invasiva di quanto non stia accadendo a me, è diventata da qualche parte nel mondo dell’informazione un’ennesima piccola notizia da dare.
Nello stesso tempo l’infermiere mi mostra un numero di telefono appeso al muro di fronte al letto. “Se hai bisogno di qualcosa non suonare il campanello, prendi il cellulare e chiama quel numero. Rispondiamo noi qui in reparto. Così è più facile. Tu già ci dici di cosa hai bisogno e noi veniamo da te in stanza già attrezzati. In questa maniera ci vestiamo una sola volta per venire.
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