Saúl Armendáriz è cresciuto a ridosso di una delle frontiere più strane del mondo: El Paso, Texas, e Ciudad Juárez, Messico. È nato a El Paso ma ha sempre vissuto su entrambi i lati del confine. “Andavo a scuola negli Stati Uniti, ma il venerdì io e le mie sorelle attraversavamo di corsa il ponte che porta a Juárez”, racconta. I divertimenti e i parenti erano quasi tutti in Messico.
Rosa Salvaje, come Mister Romano, era un lottatore potente e veloce. Niente mossette o gridolini: solo un balletto celebrativo ogni volta che scaraventava un avversario fuori dal ring, o un bacio a sorpresa sulla bocca di qualche maschione inchiodato a terra in una presa di sottomissione. Il pubblico adorava questo genere di trovate. Ma alcuni lottatori più anziani non volevano battersi con Rosa. Era il 1989, in piena isteria da aids.
Una volta, a Guadalajara, una donna anziana accoltellò Cassandro durante un incontro, dopo che l’azione si era spostata – come succede spesso nella lucha libre – nella zona riservata al pubblico. Perché lo fece? Cassandro scrolla le spalle. “Stavo picchiando uno dei suoi idoli. Mi colpì proprio qui, sotto la gabbia toracica”. A Juárez un’altra anziana una volta gli rovesciò una scodella di peperoncini verdi sulla schiena. “Le dissi di calmarsi”, racconta.
La data del ritorno alla sobrietà – 4 giugno 2003 – se l’è tatuata sulla schiena. La forza per uscirne l’ha trovata in un miscuglio di sincerità estrema e pratiche spirituali dei maya e degli indiani d’America, che lo hanno riavvicinato ai suoi antenati nahuatl. “Dicono che la religione sia per chi ha paura di andare all’inferno”, mi spiega. “Invece la spiritualità è per chi all’inferno c’è stato. Come me”.
So di toccare un tasto dolente quando gli chiedo della lucha extrema. In realtà Cassandro non la disprezza. Tutt’altro. Due anni fa ha anche partecipato a un incontro di quel tipo. “Non mi spavento mai, quando sono sul ring”, mi confida. “Ma quel giorno ho avuto paura. Muñeco Infernal ha versato un sacchetto di puntine sul ring, e poi mi ha scaraventato sul tappeto a faccia in giù.
A me non sembra un uomo solo. È l’idolo di tutti. Non ha un compagno? “Sono stato per dodici anni con un uomo etero e sposato”, racconta. “Dai 18 ai trent’anni. È stata un’esperienza dolorosa. C’erano cinque, dieci, quindici minuti di paradiso a letto, e il resto del tempo mi trattava malissimo. Era un luchador. Siamo andati tutt’e due a Città del Messico. Ma solo la mia carriera è decollata. Lui è rimasto con la moglie a Ciudad Juárez.
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