Cominciamo da una storia. Una vecchia storia, una storia di qualche anno fa. “Ora sei una mamma”. È accaduto che fossi incinta. A un amico dico: “Aspetto un figlio”. E l’amico: “Ora sei una mamma”. Certo che sono una mamma, ovvio, no? Sono incinta, sarò sì una mamma, penso. Immaginate di sentire stonare qualcosa che stonato forse non è. Poi è successo che fossi io nelle parti dell’amico e che allo stesso modo fossi io a pronunciare la frase “Ora sei una mamma”.
Poi una delle due, Alina, si innamora di Aurelio, torna a vivere in Messico e cambia idea: vuole un figlio. All’inizio Laura non capisce, reagisce come chi considera la deroga un tradimento. Si ammutolisce, si allontana. Poi le ragioni che sembrano granitiche smettono di esserlo, un po’ perché è difficile che le motivazioni razionali prendano troppo a lungo il sopravvento sul bene, un po’ perché la vita di Alina viene investita dalla devastazione.
Ma il viaggio servirà anche alla moglie per lavorare a un suo progetto sui minori che attraversano la frontiera. Ed è qui chee della giustizia. La moglie accudisce e attraverso il racconto di altre madri sente l’urgenza di allargarne i confini emotivi e di far diventare l’accudimento denuncia. “Indicatori interlineari della moltitudine di voci presenti nel dialogo che il libro intrattiene con il passato”
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