Mi guardi: adoro le unghie laccate d’argento e i capelli lunghi , ma indosso una maglietta da uomo e i jeans larghi. Alla comodità non rinuncio, e i Levi’s mi accompagnano dall’infanzia. Fra i ricordi piacevoli, c’è quando arrivava mio cugino da Milano e me ne regalava un paio.
Ne ha di spiacevoli? “Arisa” è l’acronimo dei nomi dei suoi genitori e delle sue sorelle, immaginavamo una storia da Mulino Bianco. Da bambina ero particolare , iper-empatica. Non finirò mai di ringraziare Federica Bosco per il suo libro,: «Noi siamo un palloncino in un mondo di aghi» scrive, ed è proprio il modo in cui mi sentivo, come se non avessi la pelle. Una caratteristica che mi ha portato sofferenza, comunque non ho mai cercato di cambiarla: per me è un dono preziosissimo.
Le prime esperienze sono state un incubo. A Pantano di Pignola, il mio paese c’era un concorso annuale, mia zia voleva che partecipassi. Dopo una serie di delusioni, ho addirittura smesso di cantare… Ma quando ho sentitodi Lisa Stansfield sono rimasta folgorata, ne ho ricevuto la spinta. E quel concorso, nel 1998, l’ho vinto. Finito il liceo, iniziai con i piano bar e vari lavoretti. Se oggi sono qui, lo devo a un pomeriggio che non posso dimenticare.
No. Averla conosciuta mi ha solo dimostrato che gli artisti fanno una brutta fine. Si consumano, e vengono consumati da chi hanno intorno.
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