Sarebbe curioso capire chi abbia copiato chi. Ma è un dato che le retoriche di Antonio Scurati e Roberto Saviano siano ormai magicamente sovrapponibili. Entrambi amanti solo dei monologhi, entrambi impegnati in una lotta senza quartiere contro il governo a fronte di lauti cachet, entrambi teorici di una presunta «svolta illiberale» in corso in Italia.
Poi Scurati si definisce «libero pensatore», talmente libero da essere parte integrante di una sovrastruttura culturale che in questo Paese è stata ed è ancora egemone, e che i veri liberi pensatori li ghettizza da decenni. Infine, la savianata totale: «Non facciamo casi personali, per favore. Io non ne posso più di vedere la mia faccia. Non mi sopporto più io, pensate gli altri. Non dobbiamo personalizzare. È un processo storico, una dinamica sociale.
«Dovevo farlo con più prudenza», aggiunge poi. «Potevo farlo dando meno spazio all’aspetto d’inchiesta, ma più a quello letterario, culturale». Modestia? Macché, perché subito dopo di fatto rafforza la veste del suo lavoro in barba alle tantissime critiche mosse ancora oggi dai napoletani stessi: «Tutti quelli che mi hanno accusato di aver diffamato la città hanno oggi la prova di aver detto una cazzata.
Chi lo critica, quindi, è limitato e non ha capito. Proprio il leitmotiv preferito della sinistra “chiagni e fotti”.
Salone Del Libro Roberto Saviano
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