Bisogna togliersi le scarpe per camminare sul ponte di Mostar, e molti lo fanno. Per rispetto, per sentirli davvero quei blocchi di pietra bianca, e perché i suoi trenta metri hanno visto così tanti passi da rendere il pavimento lucido e scivoloso e così, quando si arriva alla punta dell'arco, si rischia di cadere. Lo avevano costruito gli ottomani nel XVI secolo per unire due parti così diverse della città.
A ricostruire lo Stari Most fu Amir Pašić, morto qualche giorno fa. Il papà del ponte cercò di salvare molte delle pietre che rumorosamente caddero nel fiume Narenta, tra le lacrime di chi in quella città abitava, lacrime cristiane e musulmane, i due quartieri uniti da un simbolo in piedi da secoli e annientato in pochi secondi.
Da sempre su quel ponte fanno bella mostra di sé i ragazzi che si tuffano da un'altezza di più di 20 metri nelle acque pulite e gelide del fiume. I tuffi,"skokovi", hanno visto da sempre sfidarsi e arrivare a Mostar i giovani dall'ex Jugoslavia. Oggi i ragazzi ne fanno anche una piccola fonte di guadagno: se raggiungono una quota di soldi, incantano i turisti di tutto il mondo tuffandosi, sotto lo sguardo delle torri, i 'mostari', patrimonio dell'Unesco.
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