Cominciamo dai quei 41 giorni, Gianluca. Lo stato di coma si può raccontare?
«È un vissuto incredibile. Si oscilla tra il buio totale e infinito e una luce soave, accogliente, capace di trasmettere pace e benessere. Vedevo il mio corpo dall’alto con i medici attorno e, poco lontano, attraverso un vetro, i volti affranti dei miei genitori. Le loro lacrime e la mia voglia di dirgli che stavo bene, di consolarli... E poi il dubbio martellante se fosse realtà o incubo».«No, paura di non farcela.
Dal letto di un ospedale al palcoscenico. Sei stato apripista di tanti big, dai Cugini di campagna a Ron e Tullio De Piscopo. Ora ti prepari al grande salto?«Non inseguo il successo, voglio essere me stesso. E dire qualcosa di profondo, duraturo. In ogni mio brano è racchiuso un frammento della mia anima e della mia esperienza.
E siamo all’oggi: Sanremo 2020. L’Ariston è un sogno anche per te, come per chiunque sogni di vivere di sola musica? «Non lo volevo dire, qualcuno mi ha fatto una sorpresa...» Seduto nel salotto della loro casa in zona Capannelle, dove il piano garage è adibito a sala di registrazione, Gianluca si volta di scatto verso papà Pino, con espressione interrogativa. Come per chiedergli: sei stato tu a dirglielo? Il genitore sorride e alza le braccia scherzoso: «Io non c’entro. È stato un mio amico discografico, Rolando D’Angeli, a insistere...
Ma è vero che uscì dal coma per dire Per favore spegnete sta musica?
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