. Nel tempo la sua solidità finanziaria ha però iniziato a sollevare dubbi, confermati poi dalle indagini sul suo conto da parte della federazione calcistica israeliana, che notò come molti dei fondi da lui indicati fossero in realtà obbligazioni non negoziabili emesse dal governo venezuelano.
Le sue società, inoltre, si erano rivelate una rete di controllate che non conduceva a nulla. Anche i legami di Al Nahyan con la famiglia reale degli Emirati Arabi Uniti sono stati messi in dubbio, senza che si sia arrivati a una risposta certa.
In quel caso, non sarebbe il primo proprietario del Beitar ad aver usato la squadra per scopi personali. Nel 2018 il suo predecessore, Eli Tabib, cambiò temporaneamente il nome del club in Beitar Trump dopo il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel-Aviv a Gerusalemme. Lasciò poi la proprietà con una condanna per frode e da allora ha subìto tre tentativi di omicidio.
Nei primi anni Duemila, invece, l’oligarca russo di origini israeliane Arcadi Gaydamak si presentò a Gerusalemme investendo nella squadra svariati milioni di dollari che portarono alla vittoria di due campionati nazionali. Nel 2008 si candidò alle elezioni per il sindaco di Gerusalemme, e lì si iniziò a capire quali fossero le sue reali intenzioni.
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