Se uno scrittore sceglie di cominciare la sua storia dentro un convento, non si può cacciar via, leggendolo, il fantasma di una tradizione battuta su strade diverse e feconde. Dalla Getrude manzoniana alla Serena di Giovanni Arpino nellaStabat mater
, la letteratura italiana vanta una galleria di personaggi tormentati, fragili, crudeli, sfuggenti, inquieti, irrisolti ai quali si può affiliare suor Irene di, vincitore del premio Calvino 2017. Questo nuovo romanzo inizia con l’immagine di due donne, una laica e una che ha preso i voti, che si fronteggiano in quelle stanze, un’immagine senza tempo che
invece subito si distacca da una possibile eternità – potrebbe essere ambientato in qualunque epoca e invece è qui; la prosa tagliente e serrata dell’autrice apre al lettore le stanze chiuse e lo porta in altre abitazioni, in altre strade, a ritroso nel tempo. Quella donna che ha bussato al convento è Emma, e la sua caparbietà ha a che fare con il fatto che sta cercando la figlia, Matilde.
Perché Matilde è in convento? Cosa sa Irene di lei, come mai è andata a rifugiarsi proprio in quel luogo, da quella suora, scappando da una madre che non vuole lasciarla andare? Della ragazza seguiamo la congenita riottosità unita a spiazzanti, luminose acquiescenze; entriamo a poco a poco nel suo universo intimo e conflittuale di adolescente; grazie ai tocchi leggeri e sicuri della scrittura di Emanuela Canepa, ne sospettiamo pagina dopo pagina le ragioni e infine possiamo...
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