Sta scontando la sua pena nel carcere femminile di Pozzuoli,in provincia di Napoli, e ha iniziato a lavorare nel bistrot gestito dalla cooperativa sociale "Lazzarelle", che produce caffè in carcere e lo vende: "Per me è cominciare a camminare di nuovo sulle mie gambe", racconta a a Sky TG24 .
«Prima sono stata scaraventata dentro ed è un'esperienza dolorosa, dovendomi separare da chi amo, sentendomi deprivata di me stessa nella condizione di detenuta. Ho perso anche una persona molto cara per il covid e l’ho saputo dopo, solo in occasione di un permesso, perché i miei familiari temevano per la mia reazione. Oggi sto provando l’essere scaraventata da "dentro" a "fuori", ed è una sensazione bella ma non riesco ancora a consapevolizzare.
Ma cosa è successo «in fretta», come racconta Sofia? In qualche giorno è nata la possibilità di usufruire della semilibertà e poter lavorare all’esterno delle mura del carcere con la cooperativa che, dentro e ormai anche fuori dal carcere, impiega tante donne dando loro un lavoro vero e una formazione. Si chiama cooperativa “Lazzarelle”.
Quello che più colpisce di questo incontro con lei è la sua assoluta necessità di non vivere con un marchio appiccicato addosso: quello della detenuta: «Una persona che finisce in carcere ha bisogno di non sentirsi addosso un’etichetta – si sfoga – Io non mi fermerò, certo non sarà questa esperienza che finirà tra quasi tre anni a distogliermi dai miei obiettivi, dai miei progetti che sono tanti.
Il lavoro nobilita vai avanti
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