durante la Seconda guerra mondiale ero un ragazzino e ricordo bene lo stress legato all’emergenza. Credo di poter fare un affidabile paragone con il disagio dovuto alla restrizione di socialità dei giovani di oggi. Allora un genitore si sentiva perfettamente di far accettare a un ragazzino il concetto che di fronte a un evento eccezionale era normale che anche il comportamento dovesse essere eccezionale, per adulti e per giovani.
La maggioranza degli italiani, che la guerra non l’ha conosciuta, ha il dovere morale di confrontarsi con voi, che questa esperienza l’avete fatta, con rispetto e attenzione. I miei genitori erano bambini, ma ricordano della guerra molte cose, che non sono certo paragonabili a quelle che stiamo vivendo.
Ciò non toglie che anche i nostri figli e nipoti stiano soffrendo. E non sarebbe giusto metterli tutti sullo stesso piano. Gli imbecilli che si ammassano fuori dagli stadi o si danno appuntamento al Pincio per picchiarsi, filmarsi e postarsi su YouTube, non sono «i giovani». Sono una piccola parte dei giovani. La maggioranza dei giovani italiani ha rispettato le regole, ha rinunciato alla vita sociale, ha perso opportunità di fare stage, esperienze, lavori.
Ho sentito imprenditori importanti dare giudizi severi sui trentenni, e formularne altri entusiasti sui ventenni, generazione nata con la crisi e abituata a convivere con le difficoltà. Di sicuro, i nostri nonni erano ossessionati dal cibo, i nostri genitori dallo studio, noi dall’idea che i figli non debbano soffrire. Un’idea che, com’era ovvio, si è rivelata un’illusione. Saper soffrire è anzi una condizione per essere felici, un giorno che speriamo non troppo remoto.
Appunto: Zitti merde.
E non solo
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