Era l’ultimo comunista che aveva lavorato nella segreteria del Pci a fianco di Palmiro Togliatti, Giorgio Amendola e Pietro Ingrao. Era una delle ultime memorie viventi degli anni ruggenti del più grande partito comunista d’ Occidente. Era diventato negli ultimi anni uno dei commentatori più liberi e disincantati della politica odierna.
Raccontò di recente in una bella intervista a “La Stampa”: «Vivevamo a Caltanissetta, ero figlio di un manovale delle Ferrovie e avevo pregato quasi in ginocchio mio padre di mandarmi al ginnasio, ma lui mi disse: “Siete tre figli maschi, guadagno 500 lire al mese, non me lo posso permettere”. E così mi iscrissi all’istituto minerario, lo stesso dei miei fratelli, per poter ereditare i loro libri.
Negli anni del dopoguerra Macaluso guida per diversi anni la Cgil, in anni nei quali per fare il sindacalista si rischiava la pelle e molti sindacalisti socialisti e comunisti furono uccisi. Nel settembre 1944 Macaluso segue Girolamo Li Causi a Villalba, per sfidare il boss Calogero Vizzini, in un paese nel quale un comunista non aveva mai parlato. Li Causi salì su un tavolo della piazza, gli spararono subito addosso e il dirigente comunista restò zoppo per il resto dei suoi giorni.
Però troppo comunismo fa male alla salute.
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